La Cassazione ha confermato la condanna per violazione della privacy dei Parlamentari nei confronti dei due giornalisti delle “Iene” Davide Parenti e Matteo Viviani, ritenuti colpevoli di avere prelevato, “con un comportamento ingannevole e fraudolento”, tamponi di sudore di 50 Deputati e 16 Senatori per accertare la positività all’uso di stupefacenti. La pena però è solo pecuniaria, in quanto le due “Iene” avevano già ottenuto dal Gip di Roma la commutazione, in multa, della pena detentiva pari a cinque mesi e dieci giorni. Senza successo Parenti e Viviani hanno sostenuto di non aver leso la privacy degli Onorevoli dal momento che “i loro accertamenti non permettevano di associare l’esito del test a persone note”. Ad avviso della Cassazione, il fatto che nel servizio televisivo andato in onda su “Italia1”, le “Iene” avessero diffuso la notizia che alcuni Onorevoli, pur rimasti anonimi, erano positivi al test antidroga, ha fatto si che “tutti i Parlamentari potessero essere indiscriminatamente sospettati di assumere sostanze stupefacenti con la conseguenza che ogni membro del Senato o della Camera dei Deputati, nonché l’istituzione parlamentare, ha subito un nocumento alla sua immagine pubblica ed alla sua onorabilità”.
Le due “Iene”, Parenti e Viviani, si erano serviti di una truccatrice che con un tampone raccoglieva il sudore dei Parlamentari. Da questi “campioni organici” le analisi avevano evidenziato 16 test positivi alle droghe, 12 dei quali riferiti al consumo di cannabis e 4 a quello di cocaina. La Suprema Corte, con la sentenza 23086 della III Sezione Penale, ha sottolineato che i giornalisti devono rispettare “i limiti del diritto di cronaca” e possono trattare “i dati personali” solo se riguardano fatti e abitudini “rese note direttamente dagli interessati o attraverso un loro comportamento pubblico”. Non attenendosi a questa regola gli ermellini hanno dunque confermato la condanna per violazione della “normativa in materia di protezione dei dati personali”. Logico no?
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