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venerdì 11 luglio 2008

La storia dell'accise, una tassa per i ricchi

Quando nel 1935, a pochi giorni dall’attacco all’Etiopia da parte delle truppe italiane, si decise di applicare una tassa pari a 1,90 Lire per ogni litro di benzina (per farci un’idea del parametro attuale di valore, parliamo di una somma pari circa ad un Euro a litro) si voleva “colpire” quella ristretta fascia sociale aristocratica e alto borghese, consistente tra l’1-2% della popolazione, che poteva permettersi un’automobile a vario titolo. Erano gli anni delle forti restrizioni commerciali per l’Italia, promulgate dai “sanzionasti ginevrini”, proprio a causa della sua aggressione ad un Paese membro della Società delle Nazioni. Questa tassa, in tal modo, doveva far sì che anche i ricchi contribuissero allo sforzo bellico, non dovendo subire l’onere di andare a combattere in prima linea. A guerra finita la tassa non fu tolta, poiché tale contributo fu molto utile per reperire fondi per la guerra di Spagna ed il successivo conflitto mondiale. Liberata l’Italia, i liberatori antifascisti non liberarono gli italiani dalla comoda tassa ereditata dai loro predecessori di governo. Trovarono, anzi, che l’escamotage era invece molto comodo in quanto, grazie ai fondi per la ricostruzione del famoso “Piano Marshall”, prese avvio anche in Italia il processo di motorizzazione su vasta scala.

Grazie a tale illustre precedente, venne così inaugurata tutta quella serie di nuove accise sul costo dei carburanti, che possiamo riassumere brevemente: 14 Lire per la crisi di Suez del 1956; 10 Lire per il disastro del Vajont del 1963; 10 Lire per l’alluvione di Firenze del 1966; 10 Lire per il terremoto del Belice del 1968; 99 Lire per il terremoto del Friuli del 1976; 75 lire per il terremoto dell’Irpinia del 1980 (anche se dopo tutti questi anni sono ancora molte le famiglie dell’Irpinia senza una casa); 205 Lire per la missione in Libano del 1983 (utilissima peraltro!); 22 Lire per la missione in Bosnia del 1996 (andatelo a dire ai nostri soldati colpiti dall’uranio impoverito); 39 Lire (0,020€) per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 (ringraziamo Berlusconi). Totale 485,9 Lire/l (0,25 €/l). Ma il bello non finisce qui: a tale somma va aggiunta l’IVA sul prezzo (ossia il 20% dell’attuale 1,55€ al litro, praticamente altri 31 centesimi) e l’IVA sull’accisa, consistente in 0,05 centesimi! In altre parole, la tassa sulla tassa. Se la matematica non ci inganna, possiamo dunque affermare che oltre 60 centesimi al litro sulla nostra benzina vengono letteralmente mangiati dallo Stato in vari modi. Con una piccola differenza di fondo: queste tasse, introdotte originariamente con modalità transitoria, in quanto legate ad eventi di particolare gravità, non sono state mai rimosse; in secondo luogo, si trovano ad essere applicate su un bene oramai diventato primario per gli oltre 34 milioni di Italiani possessori di un’automobile, senza contare i possessori di motorini, moto e mezzi di vario genere.

Questo salasso quotidiano colpisce senza pietà stipendi e pensioni, in un momento di inaudita crisi economica e con un’OPEC che non aumenta in maniera considerevole la produzione di petrolio, il cui costo al produttore rimane comunque lontanissimo dalle cifre che assume in Italia: ben 3 centesimi a litro in Venezuela e 7 centesimi a litro in Iran! In questo campo, poi, siamo il fanalino di coda d’Europa: anche in Albania e Polonia la benzina costa di meno! Ci batte solo la Danimarca, ma dovremo ricordare che da loro il reddito medio pro capite è circa tre volte superiore al nostro…

Cari italiani e care italiane, in questi anni abbiamo avuto diversi governo che parlavano e straparlavano di interventi nel sociale e tutela delle classi deboli, eppure queste tasse assurde sono state sempre aumentate. Forse, più che parlare di aumenti sugli stipendi, si potrebbe cominciare con l’abbattimento di tre quarti delle accise e, mediamente, ogni famiglia risparmierebbe circa 1000 euro all’anno. Ma questo sarebbe solo l’inizio. Tutta un’altra cosa sarebbe invece decidere di puntare davvero su altre forme di energie, ricordando a tutti gli italiani, che sono quei graziosi ambientalisti che, dopo Chernobyl, hanno ricusato ogni forma di nucleare, sull’onda della commozione popolare, rendendoci dipendenti energeticamente e schiavi delle “sette sorelle”. Ma questa è un’altra storia. Per concludere, va ricordata una cosa: nel 1940 l’Italia aveva autonomia di carburante a livello nazionale per sei mesi; oggi tale autonomia è ridotta a tre mesi. Un vecchio adagio recita: si stava meglio quando si stava peggio!

Jacopo Barbarito per www.ladestra.info

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