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lunedì 5 maggio 2008

Bobby Sands, martire per la Libertà

Era il 5 Maggio del 1981 quando, tra le tristi mura di una prigione, si spegneva la vita di Bobby Sands, nell’imminenza del sessantottesimo giorno di sciopero della fame, indetto da lui e dai suoi militanti in segno di protesta contro le disumane condizioni di detenzione carceraria cui erano costretti. In quei tristi giorni, che videro in sequenza le successive morti di tutti gli altri suoi camerati dell’Ira-provisionals, l’ala autonoma dell’Ira, ormai però spezzata dall’interno e divisa tra loro e gli officials (la dirigenza del movimento indipendentista), il pianeta intero si fermò commosso, quasi a ricordarsi di quel giovane, in un secondo di riflessione, tra una frenesia e l’altra di quella che si apprestava a delinearsi come la decade più disimpegnata e cinica degli ultimi decenni della nostra Storia. Come se millenni di tradizione e secoli di lotta, di reazione ai soprusi e al torbido colonialismo monarchico, fossero stati dimenticati da tutti: “ragazzacci eversivi che non avevano nulla da fare, quegli irlandesi…” possiamo immaginare i frasari e i giudizi dei commentatori liberal e radical di ogni luogo. Il cittadino/consumatore medio, suddito in una plutocrazia usurocrate occidentale, liberalborghese, che si rispetti, non può non esprimere il suo giudizio libero nella parvenza, ma nella realtà inculcato quasi invisibilmente dalle armi del padrone: armi infallibili e impietose come i mass media, l’educazione mediatica e la pubblicità.

Nato e cresciuto tra i presidi militari, in una terra storicamente occupata dalle truppe britanniche e colonizzata sin dai primi vagiti dell’anno mille, Bobby era un ragazzo semplice, amico di tutti e molto gioviale. Lo stato di cose, l’arroganza degli orange (dei filo britannici), la vile prepotenza dei militari, le disposizioni speciali, le risse e gli atti di intolleranza etnica e religiosa, lo portarono col tempo a capire che non poteva esistere un’Irlanda così, non poteva esistere una terra, nata libera, ma resa schiava, in cui diventava pericoloso anche uscire di casa. Non era giusto: Bobby e la sua famiglia erano irlandesi e cattolici, come molti altri irlandesi del Nord, e solo per questo non erano visti di buon occhio. Ciò che si nascondeva dietro un velo di religiosità era in realtà un sentimento che andava a finire nell’aspetto politico, e che trascinava a sé ruggini ed odio feroce da almeno sei secoli: l’indipendenza dell’Irlanda, quale nazione autonomamente determinata, forte di etnia (celtico-gaelica) e lingua (gaelica) sue legittime, era stata ottenuta con il sangue, solo parzialmente. L’arroganza della corona britannica, tradizionalmente sanguinaria e assassina, non aveva fine, e fino all’ultimo si protraeva in una situazione che aveva del grottesco. Tuttora le sei contee dell’Ulster che compongono la cosiddetta Irlanda del Nord, sono sotto scacco britannico. La patria Irlandese, la Frontiera Selvaggia (la Wild Frontier, che ci descriveva proprio negli anni ottanta il grandioso chitarrista Gary Moore, attraverso le sue note suggestive), l’isola verde, che tanto ha dato e tanto deve ancora dare in termini di storie, saghe, miti e leggende sempre in qualche maniera intersecati con la realtà, ancora piange e reclama orgogliosa la sua personale libertà.

Una libertà mai concessa, e sempre osteggiata, e non solo negli anni duri della repressione tatcheriana, ma anche in quelli più mesti e parimenti dolorosi delle apparenti distensioni laburiste. Il sacrificio indipendentista di Bobby Sands non va dimenticato, e a ventisette anni dalla sua epifania, non può e non deve assolutamente scalfire la sua enorme portata etica. Valori come la Nazione, la Famiglia, la Comunità, l’Appartenenza e l’Identità si vanno via via spegnendo tra le nuove generazioni, vittime del cancro internazionalista e capitalista, mercificatore di anime e di spiriti che da ribelli diventano schiavi, se non lo erano già. Il ricordo di eroi e martiri come Bobby Sands potrebbero aiutare a riequilibrare le nostre più autentiche percezioni esistenziali, a renderci nuovamente consapevoli di un sentimento antico ma rivolto al Futuro, fatto di ragione ed emozione, slancio e gerarchia, fermezza e dinamismo. Un po’ per non morire, vivendo in ginocchio…

1 commento:

Anonimo ha detto...

Mi hanno dato per casa un’angusta cella, rubato il mio cuore ed il mio destino, hanno detto che sono pericoloso, qualcosa di cui non si deve parlare, hanno percosso il mio corpo e torturato la mente, facendo lo stesso agli altri e quando qualcuno arriva alla fine dei suoi giorni è soltanto un problema in meno.

“Rimanga nei vostri cuori Bobby Sands”

Ho sognato le mie montagne,le mie valli,i miei laghi, ho sognato i miei fratelli e le mie sorelle, ho sognato le case bianche e i bambini nelle strade e i vecchi che cantano nei pubs: “Gli inglesi pensano che Dio abbia commesso un errore nel dare una terra così bella agli irlandesi e per 800 anni hanno provato a porvi rimedio”

“Rimanga nei vostri cuori Bobby Sands”

Hanno rinchiuso il mio corpo ma non le mie parole e nemmeno la speranza nel futuro, hanno rinchiuso solo un Bobby Sands ma ce ne sono molti altri in Irlanda, la gente è stanca di vedere per le strade i soldati del R.U.C. dare ordini e chiede loro: “Perchè siete quì? Cosa volete dall’Irlanda?“

“Rimanga nei vostri cuori Bobby Sands”

Ho scelto di morire per poter sopravvivere ma non ho niente di cui pentirmi, ho scelto di percorrere la strada più tortuosa che mi porta a Dio... E se qualcuno sentisse parlare di un tale Bobby Sands ricordi che è solo uno dei tanti che ha lottato per la sua terra... la sua gente... il suo Dio in quell’inferno chiamato: Nord Irlanda.

“Rimanga nei vostri cuori Bobby Sands”