
Proviamo a pensare una fabbrica senza operai… potrebbe esistere? No, come non potrebbe esistere un’Azienda senza il capitale necessario per impiantarla. Entrambe le componenti, lavoro e capitale, sono indispensabili. Perché allora a decidere le sorti dell’Azienda deve essere solo il “padrone” che, da dittatore, decide vita, morte e miracoli dell’Impresa e dei suoi dipendenti? Proviamo a pensare un Consiglio d’Amministrazione in cui, oltre ai referenti del capitale (nelle grandi aziende sono quasi sempre i grossi gruppi bancari, spesso stranieri), siedano i rappresentanti liberamente eletti degli impiegati, operai e dirigenti, ossia di tutta la realtà articolata di una grande Impresa, certe operazioni avventate di tipo finanziario (vedi Parmalat e Cirio!), o certe decisioni che portano beneficio solo agli azionisti, quali il trasferimento all’estero della produzione, non passerebbero di certo. Non basta: proviamo anche a dare a tutti i lavoratori una busta paga in cui una parte, diciamo il 70%, è il classico salario, ma la restante parte derivi dalla suddivisione degli utili tra il capitale finanziario e tutti i lavoratori dell’Azienda. Ogni lavoratore darebbe il massimo di sé perché consapevole che il suo destino è legato a quello della “sua” fabbrica, nel bene come nel male, e sarebbe rassicurato dalla presenza dei suoi rappresentanti nel Consiglio d’Amministrazione. Non basta ancora: come la Famiglia rappresenta la cellula base della società, allo stesso modo l’Azienda costituisce oggi l’elemento strutturale del tessuto economico della Nazione e, anche in questo caso, lo Stato ha il dovere di tutelare, di aiutare a svilupparsi e d’intervenire in caso di difficoltà.
Se un’Azienda con migliaia di dipendenti per ragioni contingenti o per manifesta incapacità della dirigenza si ritrovasse in uno stato di crisi lo Stato, che non dovrà essere spettatore ma parte attiva, interviene e, a seconda delle circostanze, la sostiene con interventi economici o strutturali, fino al caso estremo della nomina di un nuovo amministratore, che non necessariamente dovrà essere espressione del capitale. Lo sciopero, un metodo incivile retaggio dell’era preindustriale ottocentesca, non avrebbe più senso perché le eventuali controversie sarebbero risolte all’interno del Consiglio d’Amministrazione in cui, come detto, sono presenti stabilmente, con pari dignità e pari poteri tutte le componenti dell’Azienda. Quella che i politici e sindacalisti chiamano concertazione si realizza con il principio della “partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell’Impresa”. Oggi il dipendente lavora per lo stipendio e il padrone per il profitto, in un’ottica egoistica e spesso conflittuale; domani, con la socializzazione delle imprese, entrambi opereranno per il bene dell’Azienda e, cosa non secondaria, nell’interesse supremo della Patria. In un clima di concordia e pace sociale.
Gianfredo Ruggiero per http://it.novopress.info
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