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giovedì 1 maggio 2008

Gianfranco Fini, l'ultimo dei partigiani

Alcuni nascono leaders, tipo Berlusconi&Bossi, altri si atteggiano. Alcuni hanno l'istinto padrone, tipo Berlusconi&Bossi, altri quelli del servo. Alcuni fiutano l'aria, tipo Berlusconi&Bossi, altri ci arrivano tardi. Alcuni tracciano le linee e vanno avanti, tipo Berlusconi&Bossi, altri fanno piroette, provano poi a sabotarle, a risalire sulla cresta dell'onda dopo la risacca e, puntualmente, fanno figuracce. Alcuni assumono incarichi di responsabilità, tipo Berlusconi&Bossi, altri si accontentano di fare gli anchormen del Parlamento, ovvero il Presidente della Camera. E ci sta tutto perché di sicuro uno come Fini fa meno danni lì che in qualsiasi altro posto. D'altronde cosa si può pensare, non dico dire pubblicamente ma pensare realmente, di qualcuno che non perde occasione per umiliare non solo i suoi ma il suo stesso padre? Parlando del 25 Aprile il Cameriere, equiparandolo (sic!) al Primo Maggio ha avuto la brillante idea di sostenere che si tratta di "giornate in cui si onorano valori autenticamente condivisi e avvertiti come vivi e vitali da tutti gli italiani”. Una forca caudina, forse non per lui che oltre che finiano e finomane probabilmente non è stato mai altro, ma per suo padre che quel Venticinque Aprile fu vinto e poteva essere linciato come le decine e decine di migliaia di italiani caduti nelle mani degli assassini scatenati.

Una forca caudina inutile e inattuale, visto che Berlusconi ha già ripreso temi almirantiani su questo Venticinque Aprile, che non ha festeggiato (“io lavoro”) e ha preferito trascorrerlo (udite, udite) con Ciarrapico. Una forca caudina contro il tempo e contro la storia, visto che già più di un Sindaco leghista a nord ha intrapreso cerimonie in memoria dei Ragazzi della Rsi. Una forca caudina contro il sentimento pubblico, visto che Roma è convinta (magari soggettivamente) di aver votato fascista, lo ha fatto in particolare nei capisaldi partigiani e non se ne vergogna affatto. Una forca caudina grottesca visto che dal fronte liberale si alzano voci, come quella di Dell'Utri, che chiedono di liquidare definitivamente la retorica della “resistenza”. Ma, si sa, il mondo non è fatto solo di giganti e di uomini, è composto anche di nani; e quando si è nani o si accoglie Biancaneve, o si va a lavorare in miniera oppure è meglio tacere ché si fanno figure da circo. Così, contro corrente, contro la cronaca, contro il senso comune, contro la storia, contro il popolo, contro tempo, fuori tono, il Capo/Cameriere se n'è uscito parlando di “valori autenticamente condivisi e avvertiti come vivi e vitali”. Condivisi da chi? A occhio e croce da due o tremila nostalgici; da qualche oligarchia di zeloti e tartufes che cerca di sopravvivere all'onda lunga della verità e della storia; da qualche decina di migliaia di estremisti orfani di idee e progetti. Condivisa forse con Follini&Fassino i cui padri hanno anche danzato nell'orgia di follia “liberatoria” che ha tracciato fiumi di sangue di giovani, donne, anziani, fanciulli massacrati inermi dai crociati della libertà. Condivisa con il padre di Fini che solo per fortuna non fu massacrato anch'egli, a colpi di piccone sulle giunture, con membra tagliate, o bruciato vivo con il corpo cosparso di benzina? Non credo che il padre di questo brillante uomo politico abbia mai potuto “condividere” la retorica che impedisce che si renda onore a chi si è battuto per la Patria e per la Socializzazione e che impone che si onori invece chi, avanzato dietro i carri dell'invasore, ha liquidato le leggi sociali, ha consegnato l'Italia alla mafia e al potere di classe e, nel frattempo, ha infierito sugli inermi in un forsennato sabba di Lynch. Io credo che di lassù il padre di Gianfranco Fini rimpianga di essersi salvato in quei giorni, considerato qual è stato il frutto postumo della sua salvezza. Ma, per fortuna, l'aria che tira è ben altra da quella che il suo figliol prodigo (d'inchini) ha annusato con stonato e soprendente ritardo.

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