
Solzenitsyn ebbe inizialmente simpatie marxiste, derivanti dalle condizioni precarie in cui era cresciuto (madre vedova incinta di tre mesi di un cosacco morto durante una battuta di caccia, la laurea in matematica a Rostov conseguita con grandissimi sacrifici per le ristrettezze economiche e le pessime condizioni di salute della madre) e non criticò mai l’Ideologia del Regime... "…fino a quando non venne rinchiuso nei gulag" come lui stesso ammise dopo la sua prigionia durata ben 25 anni tra i vari campi di concertamento russi, fino a quando non venne liberato e poi espulso dalla Russia nel 1970. In quegli anni, abbandonò il pensiero marxista per avvicinarsi a posizioni più tradizionaliste e religiose. Espulso e privato della cittadinanza russa, un'offesa enorme per un uomo fortemente patriottico come lui, si trasferì dapprima in Svizzera ed in seguito negli Usa, dove ottenne la Laurea ad honorem in Letteratura alla Hardvard University; questo tuttavia non gli impedì, una volta consegnato il riconoscimento, di fare delle pesanti accuse alla cultura capitalista occidentale e di addolcire il suo linguaggio al fine di diventare una star mediatica negli Stati Uniti.
Non si trovò mai a casa come sarebbe stato nella sua madrepatria. Fu, sotto certi aspetti, un "Julius Evola russo", difensore della Chiesa Ortodossa russa, la quale, a suo giudizio, doveva essere difesa come patrimonio culturale e spirituale del popolo russo, cosa che lo portò ad essere etichettato dagli ambienti laici sia comunisti che liberali come "reazionario". Nazionalista romantico, fu assai apprezzato negli ambienti di destra, per le sue critiche e denunce al comunismo sovietico, da lui considerato eccessivamente internazionalista e dissolutore della cultura identitaria di un popolo (nonché, male minore rispetto all’impero zarista), anche per la sua visione di un nazionalismo inteso come fonte di espressione del popolo e garanzia di libertà per il popolo stesso. Tanto fu l’amore che provava per la Sua Terra che, benché non condividesse le posizioni e la politica dell’attuale Presidente Putin, gli riconobbe l’aver fatto ritornare grande la Russia. Non furono da meno le critiche volte anche all’Occidente, da lui considerato "spregiudicatamente diplomatico" dal momento che s’interessò solo apparentemente all’Europa Orientale, rimanendo in silenzio poi quando i popoli dell’Est furono sottomessi dall’egemonia sovietica. Molto deve il mondo a quest’Uomo, il quale non solo fece parlare le fonti sul "Male Sovietico", ma per l’importanza spirituale delle sue opere, volte a riscoprire i valori e la cultura di un popolo, a cominciare dalla fede religiosa quando essa è consolidata nella tradizione popolare. A due giorni dalla sua scomparsa non possiamo far altro che dire una cosa, insignificante, se messa in proporzione al bene compiuto da lui verso l’umanità in tutti questi anni: Grazie Aleksandr!
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